Pizze e cornicioni

Domandina facile facile: qual’è il tipo di pizza più diffusa in Italia? E’ quella che viene chiamata pizza “romana”. Al di fuori della Campania, questo tipo di pizza si è imposta decisamente di più rispetto alla pizza verace napoletana, quella, per intenderci, con “O cornicione”.
E allora qui il grande dubbio: pizza romana o pizza napoletana? Bordo spianato e condito o cornicione pronunciato?

Ognuno di noi ha le idee abbastanza chiare in merito e sceglie la pizzeria anche in base a questo dato. Oramai, ci siamo abituati alla pizza senza bordi, stesa a mattarello e – mi raccomando – che sia bella grande e condita fino all’orlo. Solo ultimamente stiamo assistendo ad un incremento di pizzerie che sposano di più l’impostazione della verace napoletana. Come mai? Non vogliamo entrare nei gusti personali, ci mancherebbe, semplicemente ci piace provare ad esprimere il Grains-pensiero sulla questione.

A che serve il cornicione nella pizza?

E’ presto detto: il “cornicione” e la necessaria stesura a mano del paniello, valorizzano enormemente l’impasto della pizza. La stesura a mattarello tende a valorizzare di più gli ingredienti. In altre parole, a parità di ingredienti, la stesura a mano, con bordo, rende fede ad un buon impasto e dà estrema soddisfazione a chi ama assaporare anche questo ingrediente primario. La stesura a mattarello invece, senza bordo e fine di spessore, “fa passare” anche un impasto diciamo… approssimativo, fatto con farine da discount, chili di lievito e 3 sole ore di maturazione. Cosa succede se facessimo una Napoli Verace con farine scarse e senza una buona tecnica d’impastazione? Avremmo un pessimo risultato. Sì, perchè il cornicione NON mente, è una cartina di tornasole di un impasto fatto a regola d’arte. D’altra parte che senso ha usare farine selezionate, macinate a pietra, biologiche, prive di miglioratori chimici, fare autolisi e lievitazioni di 48 ore, se poi non ho la possibilità di strappare un pezzo di bordo, annusarlo ancora fumante e degustarlo come un pane antico appena sfornato?

Ecco perchè la nuova generazione di pizzaioli, quelli che fanno la scuola e sono attenti agli ingredienti, impostano spesso il proprio prodotto sullo stile della Verace Napoletana. Poi magari ci giocano e ci girano intorno per creare una propria identità distintiva ma, imprescindibilmente, partono da lì.

Sai riconoscere la vera mozzarella sulla pizza?

Avete mai provato una pizza con la vera mozzarella? Già… è difficile da trovare in giro, ormai. Siamo circondati da “filante” con sapore di sottilette, impasti improbabili di formaggi sull’orlo di una crisi di scadenza, polveri di latte estero rigenerate con acqua di rete. Tristezza allo stato puro.

La vera mozzarella fiordilatte, fresca, da latte di giornata, certo costa un po’ di più (esattamente il doppio), ma il risultato non si può non apprezzare. Il colore è bianco latte, candido, esattamente come quello della foto in testata. Il profumo è di latte vero e il gusto è succulento. Queste mozzarelle non si trovano dappertutto, vanno un po’ cercate e i produttori corteggiati. Ma vuoi mettere? Il problema (non-problema) è che poi voglio vedere tornare a cibarti del solito filante a cui avevano (quasi) abituato. La solita storia dell’abitudine alla qualità.

Mozzarilandia è attualmente il piccolo caseificio artigiano che abbiamo scelto come partner. Oltre alla mozzarella ci fornisce anche altri prodotti a pasta filata come la stracciatella, il caciocavallo, la mozzarella senza lattosio. Tutti prodotti freschi e realmente saporiti. A proposito… presto riproporremo da Grains una piccola dimostrazione della filatura della mozzarella, dal vivo, dalle sapienti mani di Vito di Mozzarilandia.

Ode al cappero selargino

Il cappero NON è un dettaglio. Nella sua semplicità il cappero si lega alla pizza in modo quasi magico. Come mai? In termini “organolettici” offre una spalla di sapidità alla tendenza dolce della mozzarella e all’acidità del sugo. Con parole un po’ più povere… l’è bono! Ma bisogna trovare quello giusto. Un cappero qualunque sa solo di sale mentre quello di qualità apporta una grande aromaticità alla pizza che è quel “qualcosa” che ci fa ricordare e amare la famosa capperi e acciughe. 

Il cappero più famoso in Italia è senz’altro quello di Salina, nelle isole Eolie (ci siete stati? Andateci perchè sono una favola, ma non ad agosto). Quelli di Salina sono addirittura un presidio Slow Food. In Sardegna invece, precisamente a due passi da casa, a Selargius abbiamo una gemma che pochi conoscono: il cappero selargino. Non è ancora annoverato come presidio ma è già sull’Arca Del Gusto, che censisce i prodotti tipici a rischio estinzione.

Presìdi e arche a parte, ciò che conta è la grande qualità di questo cappero, coltivato ormai solo da un eroico Marco Maxia al quale va l’importante merito di aver creduto nel valore di questo prodotto. Leggete la storia del cappero selargino nel report Slow Food.

Noi li usiamo nella nostra Pizza Tàpparas, se volete acquistarli abbiamo trovato questo sito: amazingfood.it/it/cappero-selargino-marco-maxia