Ti piace pagare il coperto?

Alzi la mano chi non odia pagare coperto e servizio al ristorante! E’ dal Medio Evo che ci stiamo trascinando sta cosa e forse è il caso di finirla. Nel Medio Evo era normale portarsi il cibo da casa e veniva applicata dal locandiere una tassa, equiparabile al coperto attuale, per ripagarsi dei costi di ospitalità. Il servizio, invece, risale ai tempi in cui i camerieri non erano a libro paga del titolare per cui dovevano essere rimborsati direttamente dal cliente.

Comunque sia, si tratta ormai da decenni di pratiche odiose perchè vanno nella direzione della non trasparenza tra cliente e ristorante. Se ci pensate, pur essendo abituati, come clienti ci sentiamo sempre un po’ truffati o quanto meno presi per i fondelli. E pensiamo: “guarda questo (il ristoratore), la cresta che sta facendo sul conto reale”. Risultato: stiamo sulla difensiva e muore la fiducia che dovrebbe, invece, essere alla base dell’esperienza ristorativa. Trucchetti italioti che fanno imbestialire i turisti, ma tanto quelli si sa, passano e chi li vede più… (finchè non ti distruggono su Tripadvisor. ndr).

Nel 2017 in teoria il Parlamento avrebbe dovuto promulgare il decreto “Contro-coperto” con cui abolire per sempre il coperto ma, ad oggi (Aprile 2017), tutto tace e solo a Roma per un’ordinanza comunale i ristoratori sono tenuti a non applicarlo.

In tutto ciò, la nostra scelta? Beh credo si sia capito… Né coperto né servizio. E se proprio dobbiamo dirlo non si capisce nemmeno il senso della mancia imposta, applicata in altri paesi. Ciò che vedi nel menu, paghi, punto e basta. Che ne pensate?

People first

La nostra visione sulla ristorazione? E’ fatta di tante attenzioni verso gli ingredienti, i sapori, l’atmosfera ma, soprattutto, è fatta di relazioni tra persone. Quali? Tutte quelle coinvolte… e sono tante:

Vito, casaro pugliese che ci fa la mozzarella a Km Zero, Pietro vignaiolo fiero come il suo vino Biazzu, Vittorio, birraio di Mogoro che fa la bionda e la rossa che bevete tutti i giorni, Gigi, verduraio del mercato di fronte. Marco e Giuseppe, cuoco e pizzaiolo attorno a cui tutto ruota, Siro top barman che ricorda ogni preferenza dei suoi clienti, Nadia dal sorriso più sincero che c’è.

Grains siete tutti voi che scegliete di far parte anche per un paio d’ore di questa famiglia. Il team Grains vi manda un grande abbraccio.

Cosa è la fainè?

“Fainè” a Sassari, “Fainà” a Genova, “Fainò” a Carloforte, “Cecina” in Versilia, “Calda Calda” a Carrara, “Torta di ceci” o “Cinque e Cinque” a Livorno, “Socca” a Nizza. Questi sono i nomi della farinata di ceci. Ne sapete altri?

A noi piace chiamarla fainè. La fainè è un prodotto agroalimentare della tradizione italiana, molto consumato in Liguria, Toscana, Piemonte e Sardegna. A queste regioni italiane si deve aggiungere Nizza e ora va diffondendosi anche in alcune zone degli States.

Gli ingredienti della fainè sono farina di ceci, sale, acqua e olio d’oliva. E’ intrinsecamente un piatto vegetariano, anzi vegano e gluten free, squisitamente povero.

Si può preparare anche a casa ma la cottura a quasi 400 gradi di un forno professionale… beh, è un’altra cosa.
Condita all’antica o con ingredienti “innovativi”, la preparazione della fainè, di base, deve seguire queste regole:

  • scegli una farina di ceci saporita, non sono tutte uguali;
  • fai la miscela almeno sei ore prima e schiuma ogni tanto;
  • aggiungi l’olio evo sulla teglia e mai direttamente nella miscela;
  • emulsiona la miscela con l’olio direttamente in teglia;
  • usa teglie di rame stagnato e la temperatura più elevata che il tuo forno domestico raggiunge.

Gli altri segreti? Vieni a scoprirli da Grains e chiedi al nostro faineista 😉

C’è farina e farina

Non sono tutte uguali, ormai si sa. L’avete notato anche voi? Spesso quando andiamo a mangiare una pizza non stiamo molto attenti all’impasto, alla farina, alla lievitazione. Come se il supporto della nostra pizza fosse… appunto, nient’altro che un mero supporto ai condimenti. Invece…

Oltre i condimenti c’è di più!

Certo non è affatto da trascurare la qualità del sugo, della mozzarella e di tutto il resto ma ciò che deve costituire il primo metro di valutazione è proprio l’impasto e quindi la farina scelta. La normalità, ahimè, è la 00: farina iper-raffinata, semplice e veloce da lavorare ma completamente scevra di nutrienti. La “doppio zero” è privata delle parti più importanti del chicco di grano e rimane con tanti carboidrati ma pochissime vitamine, proteine, fibre e sali minerali. E’ praticamente zucchero. E non parliamo del sapore, inesistente.

Man mano che dalla farina 00 andiamo verso l’integrale, invece, vengono preservate tutte le sostanze utili ad un’alimentazione equilibrata e salutare. E allora perchè non vengono utilizzate farine diverse dalla 00? Gli “svantaggi” per chi lavora farine meno raffinate sono diversi: il prodotto va consumato in tempi brevi, richiede processi di lavorazioni più attenti e lunghi, il costo è paradossalmente superiore. Tuttavia ci chiediamo: è pensabile accontentarsi di offrire ai propri clienti una pizza dall’impasto poco digeribile, non salutare, standardizzato e insapore? Non è meglio fare uno sforzo in più, realizzando pizze più saporite che tutelino sia il palato che la salute di chi le mangia?

In pizzeria, gli strumenti ci sono. Il pizzaiolo professionista conosce le farine e le tecniche di lavorazione. Basta, come spesso accade, un po’ di passione in più per far nascere una pizza speciale, diversa da quella della pizzeria accanto, in grado di caratterizzare la percezione del locale, differenziandolo dagli altri. Alla fine, tutti gli svantaggi si trasformano in punti di forza. Morale: farine buone, tecnica e passione. Vincono tutti!